La carne artificiale nutre una discussione senza fine, e proprio in questa settimana ha suscitato molte altre polemiche.
La carne sintetica viene ancora una volta rifiutata dall’Italia che crede sia un progresso inutile, un successo senza alcun riscontro nella cultura italiana. “La cultura italiana è una ed una soltanto” potrebbe essere una frase già sentita, ma anche se così non fosse non sarebbe difficile immaginare che sia pronunciata da un qualsiasi conservatore della cultura italiana.
Ma è giusto chiudere gli occhi di fronte ad un progresso per “salvaguardare la cultura italiana”?
Forse sarebbe più corretto domandarsi cosa sia la cultura italiana prima di difenderla a spada tratta, anche se la cultura è sempre, in ogni contesto, qualcosa di effimero ed indescrivibile: è difficile cogliere i punti saldi di una cultura perché sono spesso diversi tra di loro o addirittura antagonisti. Prendiamo appunto quella italiana: io posso dire che è molto vicina alle limitrofe culture europee, ne condivide molti aspetti e gran parte della storia, ma posso similmente dire che assomiglia alla vasta cultura mediterranea, a quella spagnola e a quella araba; in sostanza, è possibile descrivere in diversi modi la nostra cultura per la sua eterogeneità. Conosciamo bene il trascorso storico dell’Italia, tra regni e comuni. È sempre stato un Paese molto diviso, sia fra le regioni che fra Nord e Sud; eppure tutte le sfaccettature della sua cultura appartengono ufficialmente ad una unica nazione. Quindi è scontato ormai dire che la nostra cultura abbia subito numerosissimi cambianti per tutte le influenze che ha avuto. Date tali considerazioni come possiamo essere schietti nell’affermare che la cosa migliore è rifiutare il progresso, rifiutare il cambiamento?
Possiamo idealizzare la nostra cultura quanto vogliamo ma non possiamo rinnegare la sua multiformità: persino un emblema dell’italianità come il ragù deriva da un’influenza estera, eppure è un enorme vanto per noi italiani, noi che lo consideriamo uno dei cardini della nostra cultura. Perciò perché negare al progresso di cambiare ancora una volta la nostra cultura, facendola magari progredire ed evolvere una volta in più?
Il progresso certo non è sempre benefico, anzi talvolta è nocivo per chi lo accoglie con eccessiva benevolenza. Tuttavia in questo caso non si sta trattando di un pericolo per il genere umano, come la bomba atomica o la polvere da sparo, bensì di un nuovo modo di nutrirci, una nuova possibilità per la nostra cucina e, quindi, per la nostra cultura. La carne coltivata è sì costosa, per ora, ma è frutto di un recentissimo studio biologico e come tutte le neonate scoperte è ancora lontana dall’essere disponibile al grande pubblico.
Nell’anno in cui è nato il televisore nessuno avrebbe mai immaginato di acquistarne uno “facilmente”. Era una fonte di intrattenimento per le persone più benestanti, limitato alle persone meno abbienti.
E la carne sintetica? Chi dice che non possa fare lo stesso percorso?
Peraltro, questa nuova invenzione non è una banale fonte d’ozio, ma anzi una fonte di vita. Non si tratta di un bisogno artificiale nato per soddisfare qualche nostro sfizio, si tratta di un’alternativa alla carne naturale, un nostro bisogno naturale.
La carne sintetica potrebbe un giorno ridurre gli allevamenti intensivi e con essi l’inquinamento e la crudeltà gratuita verso gli animali. È un progresso inopinabile che l’Italia deve accogliere, senza temere che la sua cultura venga danneggiata ma apprezzando il fatto che cambierà, senza aver paura di investire su di essa tempo e soldi perché sarebbe tutto volto al benessere degli italiani, al benessere dell’Italia intera.