Per quanto siano solo una convenzione, la divisione del tempo, e con esso i concetti di secondo, anno, secolo, ricoprono un peso non trascurabile nella nostra immaginazione.
Da ciò nascono innumerevoli proverbi e ciascuno di questi concetti non possiede più una semplice definizione temporale, quanto un’entità metaforica, sociale, che influenza il nostro modo di pensare, di percepire il mondo attorno a noi e le nostre vite.
Se ci pensiamo bene il tempo è chiave di tutto ciò che ci circonda. Noi registriamo i cambiamenti in funzione del tempo che scorre; e ridurre il tempo in blocchi ben definiti, per quanto possa risultare poco corretto (pensiamo al X secolo, erroneamente considerato secolo buio in toto), ci permette di analizzare la direzione verso cui l’umanità sta virando in un dato periodo.
Già da un certo tempo, il capodanno, passaggio dall’anno vecchio a quello nuovo, viene vissuto con sfiducia e una certa assuefazione alle tragedie dell’anno scorso. Anche se non ce lo diciamo, a noi sembra, e non poco, che il mondo stia lentamente, e nemmeno così tanto, traslando verso un cammino, una tendenza futura che sia quella dell’autodistruzione, di un proverbiale o tempora o mores finalmente legittimo a pronunciarsi.
Quest’anno siamo stati intrattenuti, nelle nostre poltrone nemmeno poi troppo imbottite, dalla crescita dei movimenti populisti in Europa, dal deflagrare di attriti diplomatici, guerre; dalla subitanea comparsa dell’intelligenza artificiale, dal pessimismo dilagante per la questione climatica; da consapevolezze nuove sulle questioni di genere, e di conseguenza da nuove e più profonde delusioni quando si scoprono le opinioni altrui, dal vivo o online, ancora fasciste, razziste, omofobe, transfobiche e misogine.
Venendone a volte toccati a volte no, abbiamo trascorso questo anno in tali tendenze; e a capodanno ci siamo un attimo fermati, abbiamo guardato indietro rammentando tutto e, con un sospiro greve e oramai sicuro della crisi, abbiamo seguito imbronciati il conto alla rovescia. Se già da molti anni la nostra esperienza umana pare negativa, e segnata dalla guerra, dalle discriminazioni, dal rincaro vita, dal cul-de-sac del nichilismo cui siamo infine costretti a voltarci, perché quest’anno dovrebbe essere diverso?
Non sarà che un altro tassello di questo nostro stanco viaggio, di questo arrancare tutto umano che sembra aver perso ogni bussola.
Ora, io non sono nessuno per osare rassicurare l’intera umanità che questo sarà un buon anno. Pure focalizzarsi sulle tendenze di questo 2023 e su come possano evolversi, questo può essere fatto; e, con un poco di lungimiranza, e un’attitudine oggettiva, che non si lascia vincere dal lassismo di una morte certa, si può cercare di instaurare nei cuori altrui e nostri un briciolo di speranza.
Per esempio, l’AI, che quest’anno è venuta ad incastonarsi memorabilmente nella nostra vita, può apparirci come la fantascientifica possibilità di una coscienza che ci supererà, il mostro di Frankenstein incontrollabile.
Pure non dovremmo fermarci alle apparenze dell’oggi, di questo 2023 che potrebbe anche sembrarci deludente, ma sempre considerare l’intero nostro viaggio, la progressione di un’umanità che sta vivendo non il suo ultimo atto, quanto tutt’al più un importante snodo che porta a un domani di vittoria, di fiducia incredibilmente riconquistata, di orizzonti vasti.
Siamo arrivati fino all’AI, questo è quello che dovremmo dire. Molti penseranno questa sia la nostra ultima espressione, che con ciò ci estingueremo. Eppure la comunità scientifica, molto allerta, fa trapelare sia grandi dubbi sia grandi potenzialità per questi nuovi strumenti. Ma col tempo, noi si imparerà ad adattarsi alla vita con le AI, per quanto questo oggi possa volerci solo dire perdere i nostri impieghi, il nostro copyright, la nostra umanità per un surrogato.
Ma col tempo…
Siamo arrivati a un corteo contro la violenza sulle donne come quello organizzato da Libera in novembre. Abbiamo partecipato alle manifestazioni sempre più pubblicizzate, legittimate della comunità LGBTQIA+.
Abbiamo ancora commentato sdegnati davanti a radicali e mozzafiato espressioni d’odio, di grettezza morale. Guardiamo dove siamo arrivati, nonostante questo malessere diffuso che, per quanto legittimo, ci inebria, ci radicalizza, ci fa perdere il quadro più grande.
Ma, ancora, col tempo.
Abbiamo visto sbalorditi la parola “combustibili fossili” menzionata in un accordo sul clima delle Nazioni Unite, per la prima volta. Per la prima volta nella storia, dopo 28 anni di negoziati sul tema, abbiamo raggiunto un accordo sulla graduale eliminazione dei combustibili fossili.
Abbiamo rinnovato gli obiettivi dello storico accordo di Parigi; con la Cop 28 ci siamo impegnati nel lancio di un fondo economico globale per ripagare le perdite e i danni del cambiamento climatico.
Pure non c’è da dimenticare l’ipocrita presenza delle lobby delle fossili a Doha, nonché la ridicola difesa del presidente della Cop, Sultan Al-Jaber, capo dell’azienda petrolifera Avnoc, che decolpevolizza l’industria del petrolio nel conto delle emissioni. In questi ultimi anni sono poi state contratte promesse così pletoriche, così apparenti, che ci risulta difficile anche solo credere che sussista ancora una qualche buona volontà.
Ma col tempo. Anche se forse per alcune cause il tempo è più cruciale di quello che crediamo; e trovarsi in uno snodo importante verso il nostro ultimo atto con le emissioni di Co2 e metano fra 20 anni è tutt’altra cosa di farlo ora.
Non dovrebbe dunque vincere, in noi, né il lassismo né una speranza dogmatica nel futuro e nel fatto che le forze ideologiche che ci hanno portato fino al 2023, con il suo andamento da otto volante, imperino per sempre.